14 Giugno
Le opere di Bertanzetti de La Manica Lunga nel catalogo del museo svizzero
Il laboratorio espressivo di Fondazione Sospiro coinvolge una trentina di ospiti
Un grande stanzone, alle pareti i lavori degli artisti, degli ospiti che partecipano al laboratorio La Manica Lunga a l l’interno di Sospiro, un mondo segreto che vive, respira, crea dietro l’architettura austera ed elegante della villa Cattaneo Ala Ponzone, fresca fresca di restauro. Colpiscono i colori accesi dei ritratti, le grandi ruspe di Fausto Badari, nato a Mantova nel 1962, oppure le figurine in panno e in materiale di recupero realizzate da una signora, Rossana Bussoleni che frequenta l’atelier dal 1995 e sta china al suo tavolo a cucire.Luigi Gerani (classe 1954) veste i giornali: nella sua postazione c’è una pila di riviste su cui interviene con colori e ridisegnando le immagini e le fotografie, dando vita a veri e propri libri d’artista. C’è chi assembla le sorpresine degli ovetti Kinder, chi come Ferdinando Milesi sta lavorando a un ritratto di clown, c’è chi gira per il grande laboratorio chiedendo qualche consiglio a Paola Pontiggia che dal 1995 lavora con gli ospiti di Sospiro: « Nel 2005 è nata La Manica Lunga, laboratorio e spazio espositivo, aperto al mondo e in cui il lavoro e l’attività espressiva sono un tutt’uno – spiega Paola Pontiggia – . In questo contesto di lavoro e attenzione all’espressività che sa farsi arte e stile ci siamo aperti al mondo e siamo stati riconosciuti per la nostra attività. Ultimo riconoscimento è arrivato dal museo d’art brut di Losanna a Daniele Bertanzetti, un ragazzo di 34 anni, e alle sue opere a biro. E’ il quinto artista che il prestigioso istituto ha deciso di annoverare fra i suoi componenti. Insieme a lui ci sono altri nostri ospiti: Antonio Dalla Valle, Fausto Badari, Luigi Boldori e Giulio Rosso . I responsabili del museo visualizzano i lavori dei nostri artisti e poi scelgono quali adottare nel loro cahier». Le storie sono le più diverse, così come le età. Gli ospiti di Sospiro sono vite le cui chiavi sono state gettate chissà dove, sono uomini e donne prigionieri dell’autismo o che convivono con disabilità psicofisiche, ma qui la diagnosi non ha importanza, ad avere importanza è l’anima, la persona, la possibilità che ad ognuno è dato di esprimersi. «Non è un passatempo, non è una scusante esistenziale partecipare a La Manica Lunga — spiega Gianluca Rossi, coordinatore dell’unità operativa laboratori —. Ognuno a seconda delle sue attitudini frequenta con regolarità l’atelier, insieme ad altre attività laboratoriali che divengono lavorative a tutti gli effetti nell’interscambio di servizi e prestazioni con la realtà esterna all’istituto. Ognuno di loro abita nelle residenze dell’istituto, più o meno autonomo e con un’assistenza calibrata sui bisogni. Non si tratta di far passare il tempo, ma di costruire con loro un progetto lavorativo. Il nostro compito è far trovar loro una modalità di espressione, una finalità e una regolarità di v it a» . Da qui parte tutto, dalla costruzione di una dignità identitaria e di spirito degli ospiti. Sono una trentina i frequentatori dei grandi spazi della Manica Lunga in cui allo stanzone con i tavoli si affianca la galleria per le esposizioni e altri ambienti pensati ad hoc per le esigenze di questi artisti un po’ speciali. «E’ questo il caso di Timur, ragazzo di 25 anni che lavora assemblando cartone e nastro adesivo e costruendo enormi forme, sculture», racconta Paola Pontiggia accompagnandoci in uno stanzone pieno di sculture e in cui un ragazzo in tuta e maglietta bianca lavora: colora il cartone e poi – improvvisamente – spezza pezzi di nastro adesivo e assembla. «Sta costruendo una macchina – continua Pontiggia -. Ad un certo punto ciò che faceva Timur non poteva più stare nella sua casa e allora abbiamo deciso di trovargli un posto adeguato. Il mio compito è quello di far trovare ad ognuno di loro un proprio stile, se poi l’attività espressiva si traduce in attività artistica si lavora in questa direzione, senza forzare nessuno, ma assecondando le predisposizioni dei singoli. Il tratto a biro di Daniele Bertanzetti è piaciuto ed è stato assunto nel Cahier del museo d’art brut di Losanna. Ora Daniele ha sentito il bisogno di darsi al colore e lo stiamo accompagnando in questa sua esigenza». E mentre Pontiggia parla proprio Daniele con cappellino, impermeabile e calzoni al ginocchio, arriva e chiede di andare a bere il caffè, di andare alla macchinetta, una promessa fatta da Pontiggia e di cui Bertanzetti chiede conto. «Se si dice una cosa deve essere quella –sorride la responsabile dell’atelier -, anche su questo è importante lavorare con loro: regole che presuppongono un impegno da parte di tutti, allo stesso livello » . C’è chi ti chiede il nome, chi arriva e si presenta, chi ti mostra il suo lavoro con uno sguardo aperto, in attesa di approvazione reale. La richiesta al visitatore: «Come ti chiami?», seguito dalla propria presentazione col nome di battesimo e basta.. dice tutto. Dice di un’identità che sta nel nome e nella stratta di mano, n e l l’abbraccio, nella richiesta di partecipare al loro lavoro e alla fine i colori sgargianti dei ritratti piuttosto che i tratti sottili della biro di Bertanzetti raccontano di anime che vivono, sentono e sono attraverso colori, forme, sguardi e un’autenticità da cui – noi che stiamo fuori – dovremmo imparare
da La Provincia del 4 giugno 2018
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